copertina_Decidereinnovazione.gifE’ (finalmente) in libreria il mio nuovo libro: Decidere l’Innovazione.
Scritto a “otto” (!!!) mani con Kurt Hilgenberg, Edoardo Sabbadin e Joachim Warshat, affonta il tema delle scelte connesse alla decisione di innovare.

Io, in particolare, mi sono occupato della parte dedicata alla “misurazione” dell’innovazione. Ha senso misurare l’innovazione? La si può misurare? C’è chi la misura? ..e così via…

Personalmente, ritengo che la tendenza attuale sia quella di misurare l’innovazione “al chilo”, un po’ come si fa con le melanzane. Così fa l’unione europea, così fanno gli istituti di ricerca (o perlomeno molti di loro).

In realtà non è così lineare “misurare” il livello di innovazione di un paese, di un sistema o di un’azienda, e le variabili in gioco non sono tutte ascrivibili a dati presenti in bilancio…

Ma soprattutto, quando si parla di innovazione non sempre si intende la stessa cosa!
L’OCSE, con fare forse eccessivamente tranchant, risponde definendo l’innovazione come la capacità di gestire le conoscenze al fine di gevantaggi competitivi attraverso la produzione di nuovi beni, processi e sistemi organizzativi. E così risolve il problema. Non è così banale distinguere cosa è innovazione e cosa non lo è.

Provo a chiarire con un esempio: uno dei parametri universalmente adottati per misurare il livello di innovazione di una organizzazione è rappresentato dal numero di brevetti che essa registra. Ma chi definisce la validità a fini realmente “innovativi” di tali brevetti? Il velcro non ha la stessa valenza degli occhiali con il tergicristallo, eppure sono entrambe due invenzioni “innovative” protette da brevetto. La prima ha rivoluzionato alcuni comparti industriali, la seconda ha fatto il giro delle fiere degli inventori eccentrici. Ovviamente ci troviamo di fronte ad un esempio estremo, ma che serve a ricordarci che, anche quando si parla di innovazione, la storia la scrive chi la vince.

Una invenzione è sempre un’invenzione. Una innovazione, per essere tale, deve avere successo?
In altri termini, è da considerare come realmente innovativo soltanto ciò che produce un impatto concreto e positivo in termini economici? Ciò comporta un approccio analitico ben più complesso di quello di tipo semplicemente “ragionieristico”, che porta a definire più innovativo un paese soltanto perché vi si registrano più brevetti. Quali sono le evenienze successive alla registrazione del brevetto che fanno di una novità una vera innovazione? È questo, probabilmente, l’ambito di analisi più importante da esplorare. Ma è un ambito di analisi che contempla l’esigenza di prendere in considerazione l’elemento del “dopo”.

Alcune innovazioni non danno risultati immediatamente tangibili, ed i loro impatti si possono misurare solo a posteriori. Quanto è rilevante una innovazione tecnologica? Quanto, una data tecnologia, fornirà una spinta allo sviluppo di un settore? Quanto saranno rilevanti i vantaggi per l’azienda che la ha promossa?

..bhè… mi fermo qui (per il momento!)…

Se avete modo di leggere il libro, fatemi sapere cosa ne pensate!