penna.gifForse lo sbaglio lo abbiamo fatto quando abbiamo cominciato a scriverlo con la “I” maiuscola (anzi, quando – in inglese – si è cominciato ad anteporvi il “The“). Di che parlo? di Internet, naturalmente. Anzi, di internet. Con la minuscola.

Il differenziare Internet da internet è servito, inizialmente, a distinguere un termine tecnico da un fenomeno mediale, che ha poi fatto guadagnare sul campo ad Internet (con la maiuscola) pure l’onore dell’articolo, trasformando una rete nella Rete, anzi, ne “La Rete”. E da lì sono forse cominciati i guai…

Eh si, perchè uno strumento di comunicazione è diventato un mezzo, anzi, un medium. Anzi, “Il” medium per eccellenza di questi ultimi anni. Nessuno si sognerebbe di scrivere di “aver comprato il Giornale“, ma a tutti pare normale scrivere “mi son collegato ad Internet“.

Ma spesso, parlando di internet (e da questo momento in poi, vi giuro che maiuscola e minuscola saranno la stessa cosa), non ci rendiamo conto di affrontare il problema non decontestualizzando a sufficienza lo strumento tecnologico dal contesto mediale in cui è inserito. I giornali, ma anche le radio e le televisioni tanto in quanto semplici strumenti tecnologici che in virtù di mezzi di comunicazione di massa, stanno subendo un processo di ibridazione che è generato dalla convergenza e che genera convergenze in un vero e proprio circolo virtuoso. Il problema, quindi, non è tanto “vecchi media” o “nuovi media”, quando piuttosto “vecchio sistema dei media” o “nuovo sistema dei media”. Intendendo con ciò il contesto nel quale i singoli media si muovono e nel quale interagiscono generando modelli di ibridazione, appunto, prima sconosciuti.

Il punto non è tanto che c’è Internet e poi/a fianco/prima ci sono i giornali, quanto piuttosto che i giornali (e gli altri media in generale) stanno cambiando con internet e con le reti. Cambiano in quando cambiano le value chain ad essi connesse, cambiano i sistemi di acquisizione, gestione, erogazione e fruizione dell’informazione, cambiano in quanto cambia l’utenza.

Un esempio? Presto detto. Mario Tedeschini Lalli in un suo vecchio post da me ripreso qualche tempo fa (per questo lo ricordavo, Mario! :-)) evidenzia come, tra le altre cose, sia sempre minore il numero di persone che per informarsi usa un solo medium (il 10% in Italia, il 2% in Germania). Questo vuol dire che il futuro dell’informazione non può che essere di tipo cross channel, in un contesto in cui è inevitabile che si generino modelli di comunicazione innovativi. Questo non vuol dire la morte del giornale, ma di certo ciò implica un profondo ripensamento della sua natura, da valutare in un contesto che non è più lo stesso non di cento anni fa, ma di dieci anni fa.

Oggi parliamo di Internet – gli utenti finali parlano di internet – (intendendo impropriamente con ciò il web e tutta una serie di fenomeni ad esso correlati, come i blog), ma non credo che tra qualche anno si parlerà ancora con tale foga di Internet, almeno non più di quanto non si parli oggi di VHF quando si pensa alla TV (il “qualche” è un auspicio, ovviamente). In altri termini, oggi la commistrione tra strumento e mezzo, tra internet ed il web, tra comunicazione e tecnologia ritengo defocalizzi un po’ la questione.

Non posso che concordare con Antonio Sofi, quando definisce “conclusive” le osservazioni che Mario Tedeschini Lalli fa nel suo ultimo post, dal provocatorio titolo “E se scoprissimo che internet non esiste?“. Il dibattito sulla natura dei “nuovi” media (che, come da auspici, è davvero continuato on-line a partire dalla manifestazione PiùBlog di un paio di settimane fa) trova una felice conclusione nell’osservazione di Lalli, che sostiene che l’insistere sulla distinzione tra vecchi e nuovi media non può che portare “all’autoghettizzazione reciproca, di chi non si rende conto di star giocando in realtà la stessa partita, sullo stesso campo da gioco, davanti allo stesso pubblico“.

Il gioco è lo stesso. Senz’altro stanno cambiando le regole.