Sa quali siti internet visitiamo. Spesso è al corrente del contenuto delle nostre mail. Sa con chi abbiamo relazioni. Conosce i blog ed i giornali on-line che visitiamo e di questi sa quali articoli leggiamo. Capisce quali sono le pubblicità che ci colpiscono di più. È lui a determinare quali debbano essere le informazioni delle quali possiamo venire a conoscenza con maggiore facilità e quali siano invece quelle da occultare. Sa di molti dei nostri pagamenti on-line. Conosce alcuni dei nostri spostamenti e sa persino se guardiamo un video. E tutto perché siamo noi stessi a fornirgli quotidianamente queste informazioni.
Chi è? Google, naturalmente. Azienda che in un decennio di vita ha contribuito in maniera determinante a plasmare il volto della rete per come la conosciamo oggi. Poco meno di quattro quinti delle ricerche fatte on-line passano per il suo motore di ricerca. Centinaia di milioni di pagine Web vengono quotidianamente esaminate ed indicizzate in un sistema composto da quasi mezzo milione di computer.

Un’azienda che si presenta al mondo con uno slogan che letto con cinismo appare quasi una minaccia: Don’t be Evil. Google promette di non essere malvagia, ossia di non utilizzare “male” i dati di cui dispone su tutti i suoi utenti. Ammonimento o rassicurazione, ciò non ha impedito alla schiera dei critici dell’azienda californiana di paventare un futuro in cui le previsioni orwelliane diverrebbero pallide imitazioni della realtà. Anche perché il concetto di “male” spesso è relativo, come dimostrano le vicissitudini di Google e di Yahoo in Cina. Ed è innegabile che il potere in mano all’azienda statunitense sia potenzialmente enorme.

Che Google usi o meno tale potere è solo parte del problema. Un problema che se oggi riguarda Google in futuro potrebbe riguardare anche altri operatori. Ed il problema è quello della tutela delle libertà individuali in un epoca in cui esse dipendono strettamente dall’accesso alle informazioni digitali. Informazioni degli utenti, informazioni sugli utenti. Il problema – quindi – non è tanto se Google sia o meno malvagio, ma come fare per creare il sistema regolamentare che eviti che “un” google possa diventarlo.

PS: l’avevo scritto per e-Polis, ma è saltata l’uscita domenicale! 🙂

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