E’ un po’ come i discorsi sul tempo, sulla primavera che non c’è più o sul Governo che è sempre ladro. Non sappiamo proprio rinunciarci. Ogni tanto dobbiamo chiedercelo: i blog stanno morendo? Con pervicace orientamento alla reiterazione, i blogger della prima ora se lo chiedono e richiedono ogni paio d’anni, con quel carico crescente di malinconia che aumenta con l’aumentare dei loro capelli grigi. O con il loro diminuire in assoluto, a seconda dei punti di vista. Eppure il tema si ripropone. Un po’ come i peperoni la sera.

Siamo sempre lì a chiedercelo, con quel velo di amarezza che richiama il tempo che passa, e che ci fa sovrapporre la bellezza dell’essere blogger con quella dell’essere giovani.

La mia opinione in proposito l’ho scritta diverse volte. Questa volta mi limito a linkarla per non farvi perdere troppo tempo: i blog non stanno morendo, tutt’altro. Ed il fatto che ne stiamo parlando dai nostri blog, come fa notare Alessio, lo dimostra senza ombra di dubbio. Al più, si rimediano.

Eppure qualcosa cambia, in questa continua rimediazione. Massimo evidenzia gli aspetti negativi del fenomeno, e condivido in larga parte la sua visione, per la quale la distribuzione su più social network site delle discussioni non giova certo alla costruzione condivisa della conoscenza.

Qualcosa cambia e chi c’era se ne accorge, anche se a volte facciamo fatica a capire come, o peggio perché. Fenomeni diversi si sovrappongono, le cause si confondono con gli effetti, e tutto ci lascia molto confusi. Ed è curioso come mentre qui si sia occupati a leccarci le ferite, altrove il fenomeno del blogging aumenti di dimensioni e di ruolo, al punto di meritarsi l’attenzione della Casa Bianca. A qualcuno – vedi Huffington – la fuga dalla coda lunga della quale parla Axell (pardon, Andrea Toso) riesce. Altri, come racconta Suzukimaruti (pardon, Enrico Sola), rifanno con mestizia il look al proprio blog sperando che passi e che tutto torni com’era “ai bei tempi”. Altri ancora rimangono prigionieri loro malgrado dell’essere blogger. E magari del voler essere qualcos’altro. Qualcosa di diverso. Qualcuno continua sereno con il suo lavoro, con la sua vita e con il suo “avere un blog” (della sottile differenza tra l’essere blogger e l’avere un blog ho parlato ormai così tante volte che non trovo nemmeno il link al post). Molti, il blog lo abbandonano. Ma quasi tutti ci ritornano, come torna il pensiero alla prima fidanzata, mai del tutto dimenticata.

Sono i corsi e ricorsi della blogosfera. Di quella blogosfera che – come ogni vero social network – si fa e si disfa in continuazione, rinascendo dalle sue ceneri in forme sempre nuove. Forse, più che segnare la morte dei blog questo periodo segna la fine di chi – sui blog – non ha più niente da dire. O di chi non ha tempo di dirlo in maniera strutturata, preferendo riversarlo in quel fast food del social newtorking che sono i social network site come Facebook. Forse è arrivato il momento in cui quella blogosfera autoreferenziale ed un po’ stantia che ci ha visto protagonisti per anni in quell’operazione onanistica di parlare di blog dal blog, lasci il posto a chi ha qualcosa da dire, dal suo blog, che non riguardi i blog.

Noi, dai nostri blog, dei blog e sui blog abbiamo detto quasi tutto. E’ arrivato il momento che qualcuno, questi benedetti blog, ora li usi davvero. Per dialogare di cucina, di politica, di turismo, per confrontarsi, per parlare. Per fare informazione.